maneskin

«Che cosa ne pensi dei Maneskin?».

Ecco, non avete idea di quanti mi facciano questa domanda. Parlando del più e del meno, di musica, di sport, di geopolitica (?), alla fine questa domanda arriva sempre. Sarà capitato anche a voi, ammettetelo. Non che mi dispiaccia la cosa, sono sincero, perché questo mi permette di fare delle digressioni che, di persona, tendo abbastanza a banalizzare con poche parole per non incorrere nei tanto agognati “pipponi”.

Questa anticipazione non tragga però in inganno, o almeno non completamente: il mio primo editoriale da direttore responsabile di Rock My Life non vuole essere prettamente un’analisi sui Maneskin, non me lo perdonerei mai. La band romana rappresenta però il focus da cui voglio partire per analizzare la situazione musicale sotto certi aspetti generazionali.

Perché il fenomeno mondiale che hanno raggiunto ha certamente fatto breccia in milioni di ragazzi e ragazze, probabilmente anche di adulti. E rimanere indifferenti è impossibile, è innaturale. Quello che ho notato dai primi momenti in cui i quattro sono diventati famosi è stata la grande voglia di molti ragazzi, anche di piccola età, di prendere in braccio uno strumento e dire: «Voglio suonare tal canzone dei Maneskin».

L’ho vissuto in prima persona anche come insegnante. E chi sono io per dirti di no? Prendi in braccio lo strumento e suona i Maneskin. Prendi in braccio lo strumento e suona, per meglio dire. É tutto lì il discorso. Alla fine chi se ne frega delle opinioni, se fanno musica buona o meno, se poi smuovono i ragazzi ad andare ai concerti e a imparare l’arte della musica?

Perché se parti suonando i Maneskin, ma poi ti accorgi che ci sono i Ramones, i Police, i Metallica, gli Iron Maiden, i Queen, i Deep Purple, i Black Sabbath, i Rolling Stones e chi più ne ha più ne metta. E allora tutto questo può avere un senso.

Non voglio dire che fare trap e altri generi in voga oggigiorno sia sbagliato, ci mancherebbe, non è questo il punto e non sta a me dirlo. Il punto è che uno strumento musicale non deve essere per forza un qualcosa che serve per sfondare e arrivare in alto, ma anche semplicemente per smuovere lo stato di apatia che molto spesso si vede tra i nativi digitali, di chi su un treno non guarda nemmeno fuori dal finestrino ma sta con la testa ficcata nello smartphone.

E quindi, alla fine di tutto questo, voi mi direte. «Ma come, ti fai una domanda e poi non rispondi nemmeno?».

No. “Ingen”, per dirla alla danese, lingua da cui il quartetto ha preso spunto per il nome. Perché cosa penso io dei Maneskin non è importante. Anzi, penso non interessi a nessuno.

L’unica cosa che conta è vedere una generazione di giovani che si affacciano alla musica. Che non la lascino fare solo ai matusa, ai dinosauri e alle cataratte (detto con affetto, si intende, anche perché molti di questi sono tra i miei gruppi preferiti) che ancora oggi reggono la scena sui palchi di tutto il mondo.

E allora ben vengano i Maneskin, i Greta Van Fleet e via discorrendo.

Giovani, a raccolta. Prendete in braccio uno strumento e suonate. La musica ha bisogno di voi. Specialmente dopo due anni così.

«Che cosa ne pensi dei Maneskin?».

Ecco, non avete idea di quanti mi facciano questa domanda. Parlando del più e del meno, di musica, di sport, di geopolitica (?), alla fine questa domanda arriva sempre. Sarà capitato anche a voi, ammettetelo. Non che mi dispiaccia la cosa, sono sincero, perché questo mi permette di fare delle digressioni che, di persona, tendo abbastanza a banalizzare con poche parole per non incorrere nei tanto agognati “pipponi”.

Questa anticipazione non tragga però in inganno, o almeno non completamente: il mio primo editoriale da direttore responsabile di Rock My Life non vuole essere prettamente un’analisi sui Maneskin, non me lo perdonerei mai. La band romana rappresenta però il focus da cui voglio partire per analizzare la situazione musicale sotto certi aspetti generazionali.

Perché il fenomeno mondiale che hanno raggiunto ha certamente fatto breccia in milioni di ragazzi e ragazze, probabilmente anche di adulti. E rimanere indifferenti è impossibile, è innaturale. Quello che ho notato dai primi momenti in cui i quattro sono diventati famosi è stata la grande voglia di molti ragazzi, anche di piccola età, di prendere in braccio uno strumento e dire: «Voglio suonare tal canzone dei Maneskin».

L’ho vissuto in prima persona anche come insegnante. E chi sono io per dirti di no? Prendi in braccio lo strumento e suona i Maneskin. Prendi in braccio lo strumento e suona, per meglio dire. É tutto lì il discorso. Alla fine chi se ne frega delle opinioni, se fanno musica buona o meno, se poi smuovono i ragazzi ad andare ai concerti e a imparare l’arte della musica?

Perché se parti suonando i Maneskin, ma poi ti accorgi che ci sono i Ramones, i Police, i Metallica, gli Iron Maiden, i Queen, i Deep Purple, i Black Sabbath, i Rolling Stones e chi più ne ha più ne metta. E allora tutto questo può avere un senso.

Non voglio dire che fare trap e altri generi in voga oggigiorno sia sbagliato, ci mancherebbe, non è questo il punto e non sta a me dirlo. Il punto è che uno strumento musicale non deve essere per forza un qualcosa che serve per sfondare e arrivare in alto, ma anche semplicemente per smuovere lo stato di apatia che molto spesso si vede tra i nativi digitali, di chi su un treno non guarda nemmeno fuori dal finestrino ma sta con la testa ficcata nello smartphone.

E quindi, alla fine di tutto questo, voi mi direte. «Ma come, ti fai una domanda e poi non rispondi nemmeno?».

No. “Ingen”, per dirla alla danese, lingua da cui il quartetto ha preso spunto per il nome. Perché cosa penso io dei Maneskin non è importante. Anzi, penso non interessi a nessuno.

L’unica cosa che conta è vedere una generazione di giovani che si affacciano alla musica. Che non la lascino fare solo ai matusa, ai dinosauri e alle cataratte (detto con affetto, si intende, anche perché molti di questi sono tra i miei gruppi preferiti) che ancora oggi reggono la scena sui palchi di tutto il mondo.

E allora ben vengano i Maneskin, i Greta Van Fleet e via discorrendo.

Giovani, a raccolta. Prendete in braccio uno strumento e suonate. La musica ha bisogno di voi. Specialmente dopo due anni così.