underground music

L’Underground italiano chiama alle armi. C’è bisogno di tutti. Perché soffre, ma non demorde. Si batte, sgomita, prende calci, ma non molla mai. Marcia a testa alta, come fosse un esercito sempre pronto ad affrontare la sua ultima battaglia. E in qualche modo riesce sempre a sfangarla, ma non senza riportare ferite, spesso anche gravi, che farebbero vacillare anche un gigante.

Ma poi, alla fine, quello che conta è rialzarsi. Nonostante le difficoltà, nonostante i dubbi, perché è la passione a vincere su tutto, anche quando c’è qualche zampino di troppo. Se poi a metterci questo zampino è anche la burocrazia, che non aiuta chi vuole organizzare festival e concerti, allora ecco che il tutto appare ancora più complicato.

Per fortuna sono in molti a dare ancora l’anima per alimentare il sacro fuoco della musica Underground, che non si spegnerà mai finché sarà la passione a tenerlo vivo. Dai musicisti ai redattori delle webzine, dai semplici appassionati fino a chi supporta spasmodicamente le band del territorio nazionale: senza tutto questo non ci sarebbe l’Underground.

Che poi è vero che a mangiare sono sempre i più grandi, quelli che fanno i numeri e le visualizzazioni. Anche se bisognerebbe parlare del fatto che un tempo si vendevano i dischi, ma questo è un altro discorso.

Ai grandi concerti vanno in 70mila, 80mila, 90mila, 100mila. Spendendo anche 70, 80, 90, 100 euro. E nei piccoli club, quelli dove si respira aria buona e si può sentire il sudore dei musicisti Underground a un metro di distanza – dove però a trasudare è sempre buona musica – il pubblico in Italia fa ancora fatica ad andare.

E spesso le date, i concerti, i festival organizzati con il sudore della fronte saltano per motivi che in altri Stati neanche si immaginerebbero. “Perché siamo in Italia”, viene da dire. O forse perché sono le mentalità che si sono lasciate andare in un vortice da cui chissà come se ne possa uscire.

L’impressione che se ne trae è che, se salta un concerto, frega a pochi: di sicuro non a chi, con le proprie leggi e le proprie ristrettezze, direttamente o indirettamente fa sì che questo avvenga, senza fare un passo in avanti e tendere la mano.

Ma spesso non interessa nulla anche a chi professa passione ma, per un motivo o per un altro, non supporta.

Quindi a chi è rivolto questo editoriale? A tutti: ai grandi della musica che forse non fanno abbastanza per i “piccoli”; inteso come numeri, perché in quanto a qualità musicale anche qui si potrebbe aprire un capitolo a parte.

Agli addetti ai lavori, che non mollino mai.

Agli ascoltatori, che non chiudano mai le orecchie.

E ai burocrati. Che…burocratizzino meno.

È vero, il Covid ha tolto due anni di vita alla musica. Ma non l’ha uccisa, l’ha solo ferita. E dalle ferite, se si vuole, si può guarire.

E chi siamo noi per non usare un bel po’ di acqua ossigenata per queste ferite? Quindi mai mollare, perché l’Underground vuole vivere. Senza compromessi. Sempre Underground.