Marvin Gaye è stato forse l’artista che meglio ha incarnato l’essenza della soul music. Ovvero l’incontro-scontro tra la pura spiritualità del gospel e la vocazione commerciale dell’industria discografica. Dai trionfi con la Motown al declino degli anni successivi. Fino al tragico epilogo, il giorno del suo 45° compleanno.
Profonda fede religiosa e raffinatissima sensibilità furono le molle che spinsero Marvin Perez Gay (la “e” fu poi aggiunta per evitare qualsiasi comprensibile equivoco) a dedicarsi alla musica. Nato a Washington D.C., figlio di un pastore apostolico, durante le sue celebrazioni capì cosa veramente significasse “l’essenziale gioia della musica”, come un volta ricordò.
Il più emblematico degli artisti della soul music
Ancora di più di altri giganti del soul, Marvin Gaye è stato forse il più emblematico degli artisti che hanno incarnato l’essenza della soul music. Durante la sua vita e la sua carriera, ha sempre cercato la purezza interiore. Di semplici sentimenti prima, come furono le canzoni dei duetti anni Sessanta. Di valori assoluti per l’intera umanità come cantava in “What’s Going On”. Infine in “Let’s Get It On” la purezza del sentimento e il piacere fisico davano vita allo scontro metaforico più sensuale della soul music.
Il tutto con una voce che dietro il memorabile falsetto nascondeva il bisogno sofferto di cantare l’amore nei suoi vari aspetti. Tra i 16 anni e 20 anni, durante i quali entrò anche nell’Esercito Navale statunitense, formò i primi gruppi. Quello pop dei Rainbows prima e quello doo-woop dei Marquees poi. Infine, incontrò Harvy Fuque leader di un gruppo in cerca di una nuova voce, i Moonglows.
La Motown
Quello che importa fu la profonda amicizia che legò i due e i consigli di Fuque. Tra questi, quello di lasciare il gruppo e di recarsi a Detroit e incidere dei pezzi. Ma ci fu un’altra persona che in questo momento contò tantissimo per la vita e la carriera di Gaye. Anzi due persone. Poco prima di spostarsi a Detroit, Marvin sposò infatti Anna, la sorella di Berry Gordy, fondatore e capo nel 1959 di una nuova casa discografica di musica black, con sede appunto a Detroit: la Motown.
Pensata inizialmente da Gordy come laboratorio di artisti geniali piuttosto che “voci” che andassero all’assalto del mercato fonografico. In poco tempo, divenne il punto di riferimento della soul music afroamericana, anche di quella esclusivamente da classifica. Grazie al successo di vendite impressionanti di artisti come Diana Ross & The Supremes, Martha & The Vandellas, Steve Wonder e Jackson 5. E fu a questo punto che nacque l’alternativa Stax con Otis Redding come artista di punta.
I primi lavori per la Motown all’inizio dei Sessanta
Marvin Gaye si mostrava già un interprete dalla voce vellutata che incantava con un repertorio pop-romantico di alta fattura. La tecnica vocale del falsetto che lo ha reso immortale non era solo tecnica ma anche un bisogno spirituale per la ricerca di quella “purezza”. Non solo vocale ma anche di contenuti. Tra le primissime canzoni si possono ricordare l’influenza swing di “Pride and Joy“. Ma anche quella gospel di “Hitch Hike” e uno dei primi duetti di “Wherever I lay My Hat” con Martha & The Vandellas.
Significativo dell’inevitabile tendenza venale della Motown infatti, fu il progetto di Gordy di lanciare Marvin Gaye come un entertainer alla Nat King Cole. Non solo. Comprendendo la naturale predisposizione di Gaye a interpretare le canzoni d’amore, lo lanciò sempre in coppia con interpreti femminili Motown.
Oltre Martha, anche Mary Wells, Kim Weston, Diana Ross, ma soprattutto Tammi Terrell. L’intesa tra Terri e Marvin era grandiosa. Gli ultimi anni dei Sessanta furono l’epoca d’oro dei duetti. Tra i duo più importanti del periodo, di sicuro quello di Terri e Marvin era in grado di proporre anche musica di alta qualità. Tra le loro canzoni più famose, diventate dei classici Motown, le quasi omonime “Ain’t No Mountain High Enough” e “Ain’t Nothing Like The Real Thing“.
Già in questi duetti molto più rhythm’n’blues che semplicemente soul, emerge quella sofferenza spontanea dei capolavori degli anni Sessanta. Sempre però celata dietro l’apparente angelica calma del falsetto. Chiaramente questo cambio non fu improvviso.
I Heard It Through The Grapevine
Un memorabile anticipo di ciò che saranno le tematiche di “What’s Going On” si ha nel 1968, quando Gaye da solo incide quel classico che è “I Heard It Through The Grapevine”. Un capolavoro di semplicità. L’uso di percussioni e il clarinetto crearono un sound arcaico, ma allo stesso tempo innovativo per l’epoca. Quello che interessa, tuttavia, è il tema dell’uomo che perde qualsiasi certezza avuta fino ad allora, quando furtivamente sente che la sua ragazza sta pensando di lasciarlo per un altro. Metaforicamente, il tema di un cambiamento in atto nella società che nessuna sa dove porterà.
Alla fine dei Sessanta l’appellativo di “Love Man” che gli fu attribuito cominciava ad andargli stretto. Gaye non poteva più riconoscersi solo nell’interprete raffinato e romantico che fin li aveva incarnato. Il mondo stava cambiando. Periodo hippie. Sessantotto. Vietnam. Marvin era un uomo sensibile e sempre alla ricerca della purezza interiore cosi che il semplice amore di coppia che più volte fin lì aveva cantato diventava adesso amore più complesso. Contribuì alla scelta di abbandonare facili “love-song” anche la morte di Tarrell sopraggiunta improvvisa per un cancro nel 1970. E ancora, la partenza di suo fratello per la guerra in Vietnam.
La svolta degli anni 70
Come si diceva all’inizio, Gaye è stato anche uno degli artisti che ha dovuto scontrarsi tra le esigenze spirituali personali e quelle più materiali e commerciali. Se ha potuto nei Settanta cambiare completamente registro e tematiche fu solo perché i grandi successi dei Sessanta lo resero ricco e famoso e per questo capace di avere un controllo totale sui propri prodotti. Rimanendo sempre all’interno della Motown, solo Gaye e (in parte) Wonder furono capaci di ciò.
Nel 1971 esce What’s Going On , suo assoluto capolavoro nonché manifesto del soul anni Settanta. Ancora prima di “Songs in The Key Of Life” di Wonder, è un’inversione di tendenza nella musica black. Al centro della canzone non è più la gioia di vivere, ma il terrore per un cambiamento troppo violento e repentino. Perché tutto questo? Cosa sta succedendo? (“What’s going on”) si chiede Gaye senza falsa retorica.
E qualsiasi razionale risposta poco riduce il dubbio e l’angoscia. Invece solo la fede religiosa, la spiritualità e quella ricerca della purezza interiore allentano la paura. Il lavoro è pervaso dalla fede religiosa. La canzone “God Is Love” è inequivocabile. Pieno di spunti e ampi riferimenti alle condizioni sociali “deboli”: i giovanissimi che saranno grandi del futuro per “Save The Children” o i neri per “Inner City Blues“. O ancora l’inquinamento industriale ( una delle prime canzoni dedicate a questo argomento) per “Mercy Mercy Me (The Ecology)“. Un album che era ed è ancora oggi all’avanguardia per le tematiche affrontate.
L’esperienza totalizzante di “What’s going on” non poteva essere più ripresa.
Gaye fu quasi costretto a “rigenerarsi” per la parentesi ironica delle liriche per la colonna sonora di “Trouble Man“. Infine nel 1973 ecco l’altro classico Let’s Get It On. Solo attraverso il piacere fisico sarebbe possibile raggiungere un benessere assoluto. La felicità? Chi può dirlo. Di sicuro, è necessario sottolineare “possibile”. Come sempre Marvin Gaye s’interroga. Non è dogmatico. La scalata piacere-spiritualità è possibile? Nonostante le tematiche meno universali, l’inquietudine pervade ancora questo lavoro. Come in una delle più belle canzoni d’amore del re del soul targato Detroit: “Distant Lover“. I lavori in studio che d’ora in poi pubblicherà saranno le ideali prosecuzioni di Let’s Get It On. I Want You, In Our Lifetime, Midnight Love, per questo motivo sono ancora oggi considerati lavori minori.
Colpisce enormemente in questi album come Gaye avesse indirizzato le sue interpretazioni verso una voluttà soul. Sono dischi carichi come non mai di raffinatissime atmosfere erotiche. Come se l’ex ricercatore della spiritualità più profonda fosse stato costretto a scegliere la sola ricerca di un piacere fisico. Come se avesse rinunciato a ricercare la purezza interiore. Proprio per questo, inquietudine e sofferenza emergono ancora di più in un certo senso. Non sono opere stanche o senili. Chissà continuando la sua ricerca dove adesso sarebbe potuto arrivare.
Il triste epilogo
Il 2 aprile del 1984, esattamente il giorno prima del suo 45esimo compleanno, il padre omonimo di Marvin Gaye in seguito ad una lite molto probabilmente per una questione legata all’eredità, sparò uccidendo il figlio. Ma nessuno potrà chiarire le circostanze dell’episodio, visto che anche l’autore di quel folle gesto è morto. Con la morte di Gaye, la musica soul subiva una perdita impossibile da quantificare. E nonostante potesse ancora contare su Stevie Wonder, anche che la Motown lo seguiva inevitabilmente nella tomba.
Ma i riflettori su Marvin non si spegnerano mai: resterà per sempre una delle più grandi icone della musica soul. Tanto che nel 2019 arriverà finalmente la tanto sospirata pubblicazione di You’re The Man, album completato nel 1972 ma mai pubblicato.
You’re The Man rappresenterebbe il “disco perduto” del signore del soul, anche se in realtà sarebbe più opportuno parlare di “disco volutamente non compiuto”. Tra il 1971 e 1973, infatti, Gaye realizzò una serie di registrazioni dall’atmosfera “familiare” per sperimentare nuove sonorità, dopo l’enorme successo di What’s Going On, disco inizialmente poco benvoluto anche dalla casa madre.
Come dare seguito a quel successo così innovativo sul piano musicale? Come sarebbe stato poi possibile arrivare a quell’indipendenza artistica e produttiva, che lo allontanerà definitivamente dal suono Motown e segnerà il capolavoro Let’s Get In On? Gaye era ancora in parte legato all’immagine di crooner doo-wop cucitagli addosso dall’etichetta, nonostante avesse appena dato una svolta militante ai suoi testi, riunendo le tensioni della politica, della religione e della cultura afroamericana sotto il cappello di un soul raffinato, liquido, elegante e sensuale.
Il problema maggiore legato alla produzione e alla relativa uscita di You’re The Man fu, in realtà, di duplice entità: da un lato la scarsa convinzione dello stesso Gaye sulla bontà complessiva dell’opera, dall’altro lato i contrasti sempre più vivaci con la benemerita Motown. Distanze, queste ultime, di natura soprattutto politica, con Gaye nelle vesti del predicatore ecologica e antisistema e l’etichetta immersa nel capitalismo più sfrenato in seguito alle vendite clamorose dell’epoca.
You’re The Man nasce quindi sotto una “cattiva” stella, segnato da contrasti irrisolvibili tra il suo creatore e il mondo che lo circonda. Al di là delle beghe che evitarono la sua definitiva pubblicazione, il disco si presenta come un compendio di strascichi post What’s Going On e i richiami fortissimi della blaxploitation che lo stesso Gaye rincorreva, anche se solo in parte, distaccandosi dall’afflato orchestrale che fino ad allora aveva sedotto le sue intenzioni.
You’re the Man, raccolta di singoli e provini, ritrae e immortala, dunque, quel processo di perfezionamento di un sound unico, presentando una serie di istantanee che immortalano l’allenamento quotidiano di un pugile verso il match decisivo della sua carriera. Così, Gaye si prende spazio per raffinare i processi di scrittura in studio di registrazione e, soprattutto, la costruzione delle sue sofisticate e inimitabili architetture vocali.
Contestualmente, l’asso irraggiungibile della musica soul è impegnato nella scrittura della colonna sonora per il film blaxpoitation, “Trouble Man” del 1972 – dopo le note prove di Isaac Hayes con “Shaft” nel 1971 e Curtis Mayfield con “Super Fly” nel 1972, entrambi diretti da Gordon Parks – e viene coinvolto dal cognato Berry Gordy, boss della Motown, per realizzare un disco di duetti con Diana Ross, “Diana & Marvin”, che incornicia il tramonto di un certo sound black, accomodante, conciliante e immune dalle tensioni socio-politiche di quegli anni.
l disco offre anche una ricognizione sui suoni e i generi che agitavano l’animo del cantante-compositore di Washington DC, in una tensione costante il cui equilibrio era dettato dal suo grande intuito per la perfetta melodia pop.
Troviamo quindi il gospel di “Piece of Clay”, le tensioni disco di “I’m Gonna Give You Respect”, il trascinante r’n’b di “Try It, You’ll Like It”, il pop di “We Can Make It Baby”, il sinfonismo cinematico di “Symphony”, il doo-wop di “I Want to Come Home for Christmas” e il soul attivista di “I’m Going Home” à-la Gil Scott-Heron, la ballatona mielosa da consumare al tramonto (“My Last Change”), la coralità frizzante e piena di brio di “You Are That Special One”.