ghost impera

IMPERA. GHOST.

Anno domini 2020 DC: Cardinal Copia muore e lascia il posto a Papa Emeritus IV.

Anno domini 2022 DC: Papa Emeritus IV è pronto a rilasciare al mondo il suo messaggio.

L’avvicendarsi delle figure papali al termine di un tour e prima dell’uscita di un nuovo prodotto è ormai una costante consolidata per i Ghost, alias Tobias Forge che, con i suoi Nameless Ghouls dalle identità (quasi) sempre nascoste dietro una maschera, sforna il suo quinto lavoro in studio.

E, inutile negarlo, le attese erano tante.

Erano tante per quello che Forge è riuscito a costruire in questi 16 anni.

Erano tante per la qualità prodotta dai primi quattro album.

Erano tante perché dal vivo, come testimoniato anche dalla nostra Anna Paladin nell’ultimo show al Mediolanum Forum di Milano (leggi qui il report), dal vivo la resa è sempre eccellente.

TRA IL CUPO E IL CATCHY.

Che cos’è il potere? Come nascono e crollano gli imperi? Alla fine sono queste le domande che vengono spontanee assaporando già dai primi ascolti Impera, un prodotto confezionato ad arte, impreziosito da un’aulica copertina che ben si presta al suo contenuto.

Ecco quindi che Impera emerge dalle cupe atmosfere del tempo, anche dopo alcuni ritardi dettati dalla pandemia, dopo l’anticipazione arrivata lo scorso anno dal singolo Hunter’s Moon.

Pubblicare un disco dopo l’eccellente Prequelle non deve essere facile per nessuno, probabilmente nemmeno per il buon Tobias, che però sa stupirci mostrando sempre idee originali e mai banali, mischiando sapientemente vari generi musicali di vecchia e nuova fattura per ottenere quel sound ricco e ricercato che arriva fino alle nostre orecchie.

Talvolta quasi heavy metal, altre volte più catchy

dall’insinuazione facile nei meandri più o meno nascosti del nostro cervello, tanto da non togliersi per giorni interi. Questa è probabilmente la sua missione, fatta di qualità e furbizia perché, ammettiamolo, così si vendono i dischi al giorno d’oggi, quando è molto più facile fare ascolti sui vari canali digitali.

Ed è così che si canticchieranno fin quasi alla pazzia pezzi come Kaisarion, Twenties e Watcher in the Sky e, al tempo stesso, ci si rifarà la pelle con i brividi dettati da Call Me Little Sunshine o la stessa Hunter’s Moon, solo per citarne un paio.

Proprio per questo motivo non c’è forse una sola canzone all’interno del disco che si potrebbe cestinare al primo ascolto, dando l’impressione di un prodotto variegato ma allo stesso compatto, con una grande qualità del comparto sonoro, dei riff e dei dettagli con cui, ad ogni ascolto, si viene coinvolti.

Impera quindi scivola via dopo i 46 minuti circa che servono per arrivare alla fine, stando certi che dopo l’ultima traccia si avrà la voglia di premere repeat per tornare ad ascoltare le precedenti tracce.

Che, prese singolarmente, si fanno apprezzare anche se mischiate ad altre pietre miliari sia della band stessa che degli altri gruppi anche più storici e famosi. In sostanza, un lavoro condito da sontuose atmosfere che, comunque, potrebbe non soddisfare a pieno gli amanti del tupa tupa, visto l’incedere cadenzato della quasi totalità dei pezzi.

I brani

IMPERIUM. Il disco si apre con una bellissima intro carica di pathos. Agli arpeggi iniziali si interpongono struggenti parti solistiche, sostenute da un rullante marciante quasi in segno di vittoria. Quando entra la cassa è pelle d’oca. E siamo solo all’inizio. Voto: 7,5.

KAISARION. Concettualmente parlando, un pezzo che racchiude la storia del tempio di Kaisarion (Caesareum), il tempio di Alessandria d’Egitto voluto da Cleopatra VII per onorare l’amante Giulio Cesare. Narra la storia di Hypatia, la filosofa, astronoma e matematica che fu assassinata proprio in quel tempio. L’intro ascoltato nella prima traccia lascia così spazio al pezzo forse più veloce del disco.

Quello che più richiama gli stilemi del passato, con riff quasi alla Motley Crue tipici degli anni ’80. L’intensità è costante per tutta la canzone, che si intermezza con stop conditi dai soli di chitarra. E così il cantato di Tobias, che valorizza un testo pieno di epicità che ripete il suo incedere fino a inculcarsi nelle orecchie. Non a caso è stato scelto come canzone apripista del disco, proprio perché di ascolto immediato e facile da digerire. Voto: 8.

SPILLWAYS.

Qui è il piano ad accoglierci in un pezzo cadenzato e farcito di cori. Una batteria mid-tempo ci avvolge con il suo incedere fuso ai cambi di tempo, mentre il piano continua a picchiettare enfatizzando il tutto. Un ritornello fantasioso ed elaborato che lascia poi spazio al più classico degli assoli, per un pezzo di appena 3,16 minuti che comunque sa catturare sin da subito. Voto: 7,5.

CALL ME LITTLE SUNSHINE.

Arriva Mefistofele in tutto il suo splendore. Niente da dire: per chi scrive, e forse anche per qualcun altro, questo pezzo è un capolavoro. Anche qui siamo al cospetto di una traccia cadenzata, quasi al limite della ballad. L’arpeggio è da brividi, così come il peso del basso, che fa sentire tutto il suo calore. Cupa e intensa, è la canzone che, se non si considera la successiva Hunter’s Moon già data in pasto l’anno scorso, ha fatto da apripista al disco come singolo. E che apripista. Voto: 9,5.

You will never walk alone

You can always reach me

You will never ever walk alone

Call me Little Sunshine

Call me, call me Mephistopheles

Call me when you feel all alone

Just call me Little Sunshine.

HUNTER’S MOON.

Altro pezzo clamoroso. Uscito a settembre 2021 come parte della colonna sonora del film Halloween Kills e dunque già dato in pasto ai fan quasi un anno prima del lancio di Impera, fa il suo lavoro anche tra le tracce dell’album. E non sfigura neanche dopo la precedente Call Me Little Sunshine, nonostante siano due pezzi completamente diversi l’uno dall’altro che fanno capire quanto sia un disco variegato e mai scontato. E il riff dopo il ritornello è un macigno che apre in due lo stomaco e tira fuori le budella. Voto: 8,5.

Tonight, it’s a Hunter’s Moon

WATCHER IN THE SKY. Ecco un pezzo catchy volto a rimanere nella testa fino alla nausea. Searchlights, Looking for the watcher in the sky. Provate a leggere la frase senza cantarla, impossibile. Ci possono essere due scuole di pensiero: la prima, e forse percorsa dal maggior numero di ascoltatori, è l’odio profondo verso questo genere di canzoni. Altri, invece, possono apprezzare questa scelta che è sì commerciale, ma anche d’impatto, dato che la canzone è ben costruita. Noi ci mettiamo nel mezzo, un po’ come gli ignavi, per cercare di essere più oggettivi possibile. Comunque un buon pezzo, che potrebbe però risultare difficilmente digeribile ai più. Voto: 6,5.

DOMINION.

Dopo tutto questo turbinio un attimo di calma. Qui entrano in gioco i fiati, che spezzano sì il ritmo raccolto finora dalle prime canzoni, ma lasciano intendere ancora una volta quanto sia alta la sacralità e la regalità di tutta l’opera. Voto: s.v.

TWENTIES.

Ecco, questo è il pezzo che più di tutti ha fatto ritardare l’uscita di questa recensione. E dopo decine e decine di ascolti non c’è ancora una soluzione definitiva, ma tant’è. Spieghiamo perché. Nei primissimi ascolti, specialmente quelli singoli – anche in questo caso la traccia è uscita prima del disco – non era totalmente entrato nelle giuste corde. Parliamoci chiaro: si tratta della parte più catchy e “diversa” di tutto Impera. In the Twenties (Twenties). Cosa c’è di più catchy se non questo?

Un pezzo quasi circense per come è costruito, anche qui con i fiati a farla da padrone, specialmente durante l’intro della canzone e in alcuni punti salienti. Le atmosfere sono ancora ai massimi livelli e il testo, super contemporaneo, strizza l’occhio ai “casini” dei giorni nostri. E anche qui non si può rimanere indifferenti: Twenties o la si ama o la si odia. Per noi merita un buon giudizio. Voto: 7,5.

DARKNESS AT THE HEART OF MY LOVE.

La canzone senz’altro più commerciale del disco dal punto di vista sonoro, e che può essere digerita anche dai sassi. Forse proprio per questo non cattura fino in fondo, seppur anche questa ben costruita e ottimamente suonata dai Nameless Ghouls. Non la miglior prestazione canora di Tobias Forge che rimane molto sulle sue, nonostante il significato del testo racchiuda al suo interno un significato molto più cupo rispetto alla musicalità del pezzo. Voto: 6,5.

GRIFTWOOD.

Si torna a muovere la testa a tempo. Altra bella canzone cadenzata, dove il potente basso fa il suo sporco lavoro. Qui il cantato di Tobias Forge è coinvolgente e avvolgente, così come il resto della canzone. Non sarà un capolavoro, ma si lascia ascoltare con piacere. Una canzone che è quasi un inno. Voto: 7.

Holy Mother

You washeth the sin from my feet

Holy Mother

You shine like the sun and the moon and the stars in the sky

Holy Mother

You washeth the sin from my feet

Holy Mother

You shine like the sun and the moon and the stars in the sky.

BITE OF PASSAGE.

Altro interludio di soli 31 secondi, che serve a lanciare l’ultimo pezzo del disco. Voto: sv.

RESPITE ON THE SPITALFIELDS.

Un buon disco non può essere tale senza una degna chiusura. E questa lo è. Si piazza come una delle canzoni più belle dell’intero album. Un arpeggio sognante e un basso deciso sotto la strofa lasciano spazio a un pre-ritornello arrabbiato e graffiato, per entrare nell’inciso nuovamente con fare sognante e ispirato, prima di un bel solo di chitarra sostenuto dal piano.

Poi nuovamente da un giro di basso con un suono maestoso. È anche la traccia più lunga di Impera, con i suoi 6,42 minuti. Ma non stanca, proprio per la sua varietà. E quando si arriva in fondo al pezzo – altra furbata di Forge – la chiusura che richiama l’intro iniziale del disco porta a pensare subito di far ripartire tutto da capo. Come un cerchio che non ha intenzione di interrompersi seppure Impera sia arrivato a conclusione. Ma – la storia insegna – come gli imperi iniziano, poi arrivano alla loro caduta. Voto: 8,5.

CONCLUSIONI

In conclusione, se non lo avete ancora fatto date una possibilità a questo disco. Prima dell’uscita, la curiosità se Impera potesse reggere il passo dei suoi predecessori era tanta. Adesso, dopo qualche settimana e parecchie decine di ascolti lo possiamo dire: è tra i dischi più belli del lotto.

Lo ha dimostrato la grande enfasi con cui il pubblico ha risposto alla chiamata del Mediolanum e di tutte le altre date in giro per l’Europa che lo svedese Tobias Forge sta in questo periodo sostenendo.

Un disco consigliato, questo Impera, che merita un buon 77.