Hank Von Hell

Se Hank Von Hell fosse stato magro, e fosse nato in America, avrebbe potuto essere il nuovo Jim Morrison. Ma caso volle che Hans-Erik Dyvik Husby nascesse in Norvegia nel 1972, ed avesse in dote una fisicità decisamente abbondante, unita ad una grande autoironia e un sense of humor molto spiccati.

Everybody Loves a Chubby Dude, cantava Hank, sull ultimo album che incise coi Turbonegro, Retox, del 2007. Provateci voi, a fare il frontman rock n’ roll barbuto e con la pancia.

Come tutto ebbe inizio

La carriera di Hank è legata per la prima fondamentale parte della sua carriera ai Turbonegro, la band norvegese che mise a fuoco gli ani 90 e 00 con una miscela di classico hard rock settantiano reminiscente di AC/DC ed Alice Cooper, declinato in chiave punk, fortemente influenzato da bands quali Stooges ed MC5.

I Turbonegro con alla voce l’allora Hank Von Helvete riuscirono ad unire il nichilismo e la rabbia del punk, con la sfacciataggine dello shock rock, ed echi paraculi ottantiani. Dando luogo al capolavoro assoluto del rock anni 90: l’album Apocalypse Dudes, che influenzò incredibilmente la scena rock (ma anche metal) per gli anni a seguire.

Forti di un look all-denim (furono sponsorizzati da Levis) unito ad un’immagine molto tongue in cheek che strizzava l’occhio alla sottocultuta gay, tra Tom of Finland e Querelle de Brest, fatta di rossetti, abiti da marinai, reminiscenze della Wermacht ed immaginario leather. Una roba da imbarazzare anche il gayissimo Rob Halford,

Durante gli anni di quello che i Turbonegro chiameranno Deathpunk, Hank sviluppa il suo iconico facepainting attorno agli occhi, reminiscente ed omaggiante il primissimo Alice Cooper.

I Got Erection

Eccessivo, provocatorio, volutamente volgare (correva sul palco con un pirotecnico acceso tra le chiappe), ma sempre sottilmente ironico, intelligente ed a suo modo sofisticato, da sempre incarnava in se la quintessenza del rocker maledetto, vero.

Una storia di dipendenza dall’eroina lunga una vita intera, a più riprese, culminata con lo scioglimento dei Turbonegro a fine degli ani 90.

Quando, dopo un infuocato concerto in quel di Milano, a cui ebbi la fortuna di assistere (grande magia,allucinazione, delirio quella serata) il primo di Dicembre 1998 Hank finiva al pronto soccorso psichiatrico dell’Ospedale Niguarda in stato confusionale, strafatto di eroina.

La band interrompeva il tour e si scioglieva per alcuni anni, per ritornare poi sulle scene nel 2003 con l’album Scandinavian Leather, e con un Hank Von Helvete ripulito e, apparentemente, libero dalle droghe.

Nel mentre Hank, tornato alla sua identità civile di Hans-Erik, si allontanava per alcuni anni dalle scene. Si disintossicava, avvicinandosi a Scientology, lavorava per un po’ in un museo dedicato alle balene, e tirato a lucido e dimagrito, sposava una modella ed attrice norvegese da cui avrà poi anche una figlia.

Ma come già detto sopra, la reunion dei Turbonegro era inevitabile, e per nostra fortuna la band guidata da un sobrio Hank partorirà ancora tre buoni dischi, prima della sua uscita definitiva, nel 2010, motivata dalla difficoltà di restare pulito e lontano dalle tentazioni nella vita on the road.

E qui si perdono le tracce di Hank, perlomeno fuori dalla Scandinavia.

I Turbonegro riprendono l’attività live e registrano due album col nuovo cantante Tony Sylvester, Lui si tiene occupato con comparsate TV, una biografia, ed a seguire un tentativo di superband con Tim Skold (Shotgun Messiah, Marylin Manson) perlomeno discutibile.

Il Ritorno del Re

Tutto questo almeno fino all’estate 2018, quando la fenice rinasce dalle sue ceneri. Assolutamente a sorpresa, appare su YouTube un video di un brano inedito di un ritornante sulle scene, ed ora col nome più anglofono Hank Von Hell.

Bum To Bum è lo scoppiettante singolo, introdotto da una parte recitata in cui Steve O (Jackass) in un veste quasi Bergmaniana, convince un Hank nuovamente ingrassato (e fresco di divorzio nella vita reale), che sostiene di aver perso il suo tocco magico, a tornare sulle scene. Perché il mondo ha nuovamente bisogno di lui, ha bisogno di Rock n’ Roll. Un pezzo che avrebbe spaccato fatto dai Turbo, con le chitarre di Euroboy. L’entusiasmo per questo comeback è palpabile in tutta Europa.

Egomania

l’album bianco.

E qui, legittimamente, tutti i vecchi fans dei Turbonegro hanno potuto accarezzare il sogno del ritorno in grande stile. Il primo lavoro solista di Hank, assolutamente da riscoprire a poco meno di cinque anni dalla sua uscita, è un condensato di quasi tutto il meglio espresso dalla sua storica band.

Scritto a quattro mani assieme al chitarrista Cat Casino (Deathstars, Vain), qui anche in veste di produttore, Egomania da un calcio al punk abbracciando suggestioni più glam rock unite al solito, solidissimo sound hard rock anni 70. Un disco energetico, frizzante, irriverente, che vale assolutamente la pena di recuperare ancora oggi se ve lo siete perso. Party music suonata a cannone.

Svetta e gigioneggia lungo tutte le tracce del disco.

The bitch is back canta, completamente vestito di bianco e con l’immancabile cappello a cilindro. Sorta di early Ozzy che si è scontrato contro un Elvis eccessivo e strafatto.

La title track è un glam rock con respiro ottantiano ed un innato appeal radiofonico. Pretty Decent Exposure è una svangata cavalcata hard in doppia cassa tipo corsa in discesa coi freni rotti. Blood è stata paragonata da alcuni agli Aerosmith, forse, in caso quelli più marci e drogati, dei leggendari Toxic Twins.

Never Again non è una ballad, ma un tuffo nella parte più oscura, nel lato più dark di Hank, che emergerà prepotentemente nell’album successivo. Bombwalk Chic sembra uscita da Party Animals dei Turbonegro.

Grande hard rock anni 80 per Wild Boy Blues e Too High, che si muovono in territori piacevolmente classici di arena rock.

Chiude l’album Adios (Where’s My Sombrero), che dopo un inizio stralunato si risolve essere l’unico pezzo veramente punk rock di questo disco.

Egomania è accolto con grande entusiasmo, ed Hank inizia l’attività live in giro per l’Europa con un certo successo, conquistandosi una nuova fetta di pubblico in questa sua avventura solista. Il successo in Scandinavia è piuttosto immediato, e all’inizio del 2019 partecipa col brano inedito Fake It alle selezioni per rappresentare la Norvegia all’Eurovision Contest. Cercatevi l’esibizione su YouTube, che è epica, e consacra Hank come l’erede sfacciato e bastardo di KISS ed Alice Cooper.

Dead, L’album nero

Dopo la sfavillante cavalcata hard rock venata di pop di Egomania, Hank sorprende tutti col suo secondo (e purtroppo ultimo) album solista. Un lavoro più maturo ed articolato, ottimamente composto, ma dall’anima assolutamente oscura e crepuscolare. Esce nella tarda primavera del 2020, mentre il mondo cade sotto i colpi della pandemia.

Dopo un intro piuttosto oscura, nella title track, Hank canta “You can’t kill me, I am already dead”, parole che suonano quasi come un presagio per ciò che accadrà non molto più in la… La successiva Danger Danger è un pezzo cazzuto ma tutto sommato in linea col precedente disco.

Ma già la successiva Blackened Eyes alza il tiro, ed appare come una sorta di confessione, un brano autobiografico potente e suggestivo, a tratti rabbioso, a tratti malinconico, nel cui video ci viene mostrato un Hank Von Hell completamente nerovestito e magro come mai prima d’ora, una creatura del crepuscolo. Dell’Underworld, come amava definirsi. E qui si capisce che la musica è cambiata, in tutti i sensi.

In Disco emerge l’anima più pop rock del cantante

una canzone trascinata da un giro di basso notevolissimo e che avrebbe spaccato negli anni 80. Velvet Hell è puro hard rock. Ma è la successiva, trascinante, disperata Forever Animal che unisce lo spirito oscuro del disco all’anima più glam di Hank dando vita a quello che forse ci resta come il suo anthem definitivo. “Twisted little animal, show me where you hurt” canta, mentre il pezzo sale in un crescendo drammatico fino al bellissimo break centrale di chitarra. Definitivo. Il testamento musicale di Hank Von Hell.

Le successive Am I Wrong e 13 in 1 sono due gemme grezze da riscoprire e sparare a palla senza pietà sullo stereo facendo headbanging da soli in casa.

Il disco si chiude con la spiritata ed inquietante outro/nenia di Requiem for an Emperor, che appare oggi più sinistra che mai, in cui Hank annuncia che discenderà tra le tenebre, nell’Underworld.

La fine

Col mondo che si sta sfaldando a causa del Covid 19, l’industria musicale e gli artisti in genere subiscono un colpo terrificante. Molti mollano il colpo, alcuni definitivamente. Le speranze di carriera solista di Hank si infrangono, dopo delle promettenti date negli Stati Uniti, allorchè il mondo si chiude, smette di vivere, trattiene il respiro per quasi due anni.

L’ultima esibizione live di Hank è uno di quegli eventi in streaming, registrato in uno stadio completamente vuoto, a cui tristemente ci stavamo abituando nel periodo pandemico.

Ad essa segue un’ultima registrazione, un pezzo semi acustico, I See A Darkness, per un progetto sociale di prevenzione del suicidio e di aiuto a persone che soffrono di depressione, di cui, però, non si sentirà più parlare. La canzone si trova su YouTube e ci regala un inedito Hank Von Hell in chiave intimista e molto senza filtri.

Poi il silenzio.

Fino al 21 Novembre 2021, quando Hans-Erik Dyvik Husby, viene ritrovato senza vita in un parco pubblico di Oslo. Aveva 49 anni.

Immediatamente la voce che filtra dagli ambienti musicali norvegesi è quella di un possibile suicidio. La famiglia non rilascia dichiarazioni ufficiali in merito.

Poco tempo dopo, il suo ex manager, affermerà pubblicamente che il fisico di Hank aveva improvvisamente ceduto, dopo anni di abusi di stupefacenti.

E così, silenziosamente e prematuramente, termina la vita terrena dell’enfant terrible del rock scandinavo, il Re del Glam e Deathpunk, come tutti i grandi artisti maledetti della musica.

La sua carriera ha abbracciato più di 25 anni, tra successi ed eccessi autodistruttivi. Ha influenzato ed influenzerà ancora molti musicisti. Ha saputo trasformare in arte la sua vita, incluse le fragilità e l’oscurità che si portava da sempre dentro. Darkness, è una parola che lo contraddistingue da sempre e che ricorre spesso nei suoi testi.

Fatevi un regalo, se magari non lo conoscevate fino ad oggi, recuperate i suoi due album. Che sono ancora relativamente facili da reperire.

E non sono ancora diventati classici solo per una mera questione di tempo.

Se Jim Morrison fosse stato grasso, e fosse nato in una piccola cittadina norvegese, probabilmente sarebbe diventato Hank Von Hell.

Darkness Forever.

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