aldo giuliani

A Grosseto la musica dal vivo riparte col Faq. Tempi duri quelli trascorsi negli ultimi 20 mesi per locali e club di tutta Italia. In molti hanno chiuso – è notizia di questi giorni quella dalla fine delle attività del Flog, storico tempio del rock fiorentino – altri faticano a restare aperti.

I sussidi per far fronte alla pandemia sono stati ridotti all’osso. Solo chi ha saputo rinnovare la propria attività è riuscito a restare a galla: qualcuno trasformando la propria sala concerti in altro, o magari realizzando progetti lavorativi diversi per appianare le perdite derivate dallo stop ai concerti. Inoltre, come nel caso del Faq di Grosseto, non c’è solo la questione legata ai concerti, ma anche tutto ciò che ruota all’ambito della discoteca.

La fase critica della pandemia, comunque, sembra adesso quasi alle spalle e l’attività gestita da Aldo Giuliani è ripartita, anche se con il freno a mano tirato, con due serate a settimana e capienza al 50%, senza dimenticare i numerosi controlli da effettuare.

Giuliani, anche a Grosseto sono ripartiti i concerti di musica dal vivo. Quanto è stata dura stare chiusi per tutto questo tempo?

«È stata durissima. Le spese di gestione di un locale sono comunque esorbitanti. Già in una situazione normale non è facile stare aperti. I live per i club piccoli sono un dramma, perché non abbiamo la potenza di fuoco che hanno quelli più grandi. Non abbiamo la capienza degli stadi e neanche la possibilità di ingaggiare artisti di un livello che possa ogni volta riempire il locale. Quindi già di base la situazione era drammatica e 20 mesi hanno voluto dire chiusura per tanti. Chi ha resistito è perché era coperto in altri modi».

L’attività è ripartita anche se non al 100%, che tipo di programmazione ha scelto per il locale?

«La programmazione del Faq è volta a riavvicinare il pubblico il più possibile. La scia della gente in una realtà piccola come Grosseto era già poca, non era un’utenza sufficiente a mandare avanti solo live originali. Siamo quindi ripartiti rivolgendoci essenzialmente ai tributi più commerciali, perché sono quelli che hanno uno spettro più ampio di coinvolgimento.

Intanto così cerchiamo di rieducare le persone all’attività live, poi vedremo come sviluppare la cosa. Dobbiamo ricreare il bacino di utenza andato perso. Ad esempio abbiamo aperto con il tributo ai Negramaro, poi quello ai Coldplay, Litfiba e Oasis. E avremo quello a Ligabue e altri che attirano pubblici diversi. Non ci possiamo più permettere di fare programmazione per tre mesi come prima, ma dobbiamo farlo per massimo un mese e mezzo in attesa degli sviluppi. Una cosa fondamentale e intelligente da parte delle band è stato venirci incontro. Con la metà delle capienze e tutto il resto ci hanno chiesto cachet più bassi. Siamo tutti sulla stessa barca e bisogna remare nella stessa direzione».

In questi casi la sinergia trai vari gestori potrebbe fare la differenza. Che collaborazione ha trovato con i colleghi italiani e quali difficoltà con le istituzioni?

«Purtroppo non c’è sinergia. È una categoria strana quella dei locali, che sono tutti diversi tra di loro. E in molti in piazza nelle manifestazioni non si sono presentati. Per la discoteca lo stesso, è difficile riuscire ad accomunare tutti. C’è la volontà di aggregarsi ma sui live l’utenza sul territorio italiano è poca. Non siamo come i tedeschi o altri popoli con questa cultura, questo è abbastanza drammatico. Si va nei posti dove c’è gente non tanto perché c’è musica di qualità, ma per questa tendenza ad aggregarsi. E poi, è quasi inutile dirlo, dallo Stato è arrivato poco e niente».

Molti locali in Italia hanno chiuso definitivamente. Altri provvisoriamente, decidendo di aspettare la fine delle restrizioni. Voi come vi siete mossi e che difficoltà state avendo e avete avuto?

«Ci siamo reinventati con altre attività esterne, ad esempio nel turismo e nella ristorazione, perché non c’era possibilità di riuscire a organizzare qualcosa all’interno del locale. La pianificazione artistica non si poteva fare perché c’erano solo incertezze. Mentre i locali enormi provavano a fissare le date. Ma se anche gli artisti più grandi sono quattro volte che spostano i tour, come potevo io dire anche alle band più piccole di organizzare una data?».

Cosa si deve aspettare chi ascolta musica per il futuro?

«Rigiro la domanda: cosa ci dobbiamo aspettare noi dal pubblico? Perché in realtà questo pubblico è diventato quasi inesistente e un locale senza pubblico non va avanti. Noi vendiamo uno spettacolo.

Se la gente c’è e ci fa capire come comportarci allora ok, sennò diventa drammatica ancora di più la situazione. E se poi un domani decidessi di fare solo discoteca poi non voglio sentire la gente che si lamenta che non ci sono live, perché se l’è cercato.

E quando i locali come il mio ricominciano a fare spettacoli, se poi non ci sono gli utenti non si va da nessuna parte. Siccome non siamo benefattori ma imprenditori e cerchiamo di sopravvivere esattamente come gli altri, questo pubblico ci dimostri la sua vicinanza. C’è una voglia matta di ascoltare musica da quelli tanto appassionati, ma sono troppo pochi. Per chi va nei locali solo per aggregazione c’è ancora tanta titubanza e non percepisco ancora tantissima voglia. Noi cerchiamo di richiamare la gente facendo cose più appetibili e di fare una programmazione artistica molto varia per accontentare tutti, poi però bisogna che la gente si muova».

Un locale di Grosseto come il Faq e una realtà come Rock My Life che fa base nel capoluogo maremmano. E allora lanciamo una proposta: un bel festival targato Faq e Rock My Life…

«Sarebbe una cosa che mi piacerebbe molto, da fare però quando potremo tornare ad una capienza del 100%. In quel caso sarò ben felice di organizzare un evento del genere. Noi siamo sempre stati attenti anche alla musica locale, dare spazio anche alle altre realtà per noi è fondamentale».